Servo
Sebbene non contenga il termine servo (‘ebed), la I Lettura presenta vari elementi affini con gli altri canti di Isaia (motivo della prova, perseveranza nella missione, consapevolezza della validità salvifica della propria opera davanti al Signore), perciò è riconosciuto come terzo fra i quattro canti del Servo del Signore (42,1-4; 49,1-6; 50,5-9; 52,13-53,12).
Il Signore è all’origine della missione del Servo. Risalta il titolo «Signore Dio» ripetuto quattro volte nel giro di pochi versetti (vv. 4.5.7.9), fatto unico nel Deutero-Isaia (Is 40-55), molto usato, invece, nel Proto-Isaia (Is 1-39) e in Ezechiele.
L’inizio del poema, che la lettura di oggi tralascia ma che fa parte integrante dell’unità letteraria, è dominato dal vocabolario dell’ascolto e dell’annuncio della Parola come dono del Signore: «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli» (50,4).
Il Servo-profeta è un fedele discepolo del Signore e della sua Parola che ascolta ogni mattina. Perciò egli è l’uomo che sa comunicare la Parola divina e sostenere coloro che sono privi di fiducia e di speranza. Egli ha tale capacità perché è come un discepolo (ke-limmûd), aggettivo importante (usato due volte in 50,4), che significa cresciuto, allevato, avvezzo, e qui ha il valore tecnico di iniziato alla Parola (dabar) perché «ha la Tôrâh/rivelazione sigillata nel cuore» (Is 8,16). Può annunciare quanto egli stesso ascolta ogni giorno da Dio.
Per la parola del Signore il servo affronta gli oltraggi della persecuzione: «Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba, la faccia agli insulti e agli sputi» (50,5-6).
È il primo accenno agli oltraggi fisici e morali cui è sottoposto il profeta-servo, il qua le sceglie di sopportare tutto con pazienza. Tali sofferenze sono elencate in forma progressiva: percosse, strappo della barba (insulto inaudito in Oriente), oltraggi e sputi (massima ingiuria).
Egli non solo non oppone resistenza, ma si offre di buon grado a tali insulti, pieno di fiducia in Dio: «Il Signore Dio mi assiste […]. Chi mi accusa? […] Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?» (50,7-9a).
L’espressione: «Il Signore Dio mi assiste», ripetuta due volte (vv. 7.9), forma un’inclusione che dà forza speciale alla seconda sezione del canto. Nel dibattito forense il Signore è come un giudice, gli accusatori come colpevoli, il Servo-profeta è un innocente accusato ingiustamente. Così il fedele discepolo del Signore e della sua Parola quotidiana (50,4a) diventa un maestro di sapienza per gli umili, gli sfiduciati e i dubbiosi.
Difficile dire se il Secondo Isaia si riferisca a un uomo concreto, oppure se stia parlando, in modo simbolico, del popolo d’Israele annientato dalla violenza dei nemici.
Ciò che è certo è che i primi cristiani hanno visto nel personaggio del Servo del Signore l’immagine del loro Maestro, Gesù di Nazareth, rigettato dai suoi contemporanei, avversato e sconfitto dai capi religiosi e politici del suo tempo, ma riconosciuto da Dio, mediante la risurrezione, come il vero vincitore. A conferma di ciò, basti registrare i richiami e le allusioni a questo testo, presenti nel Nuovo Testamento, soprattutto nel Vangelo. Gli oltraggi del v. 6 trovano riscontri in Mt 26,67 e 27,30 (e paralleli); l’indurimento del volto del v. 7 è richiamato da Lc 9,51; l’idea del v. 8 di Dio che rende giustizia al suo eletto ha eco in Rm 8,33s; la proclamazione della verità del v. 9 risuona in Gv 8,46.
L’uomo dei dolori e della fiducia continua a sussistere nella schiera degli innumerevoli martiri che hanno imitato e imitano con la loro vita la scelta di Cristo.
Foto: Isaia capitolo50 versetto4 / ebible.it